Il patrimonio culturale di un territorio deve certamente essere valorizzato in chiave economica ed in particolare per l’attrazione di turisti: concorda su questa posizione l’88% del campione di oltre 1.800 persone di una ricerca condotta dall’Isnart, Istituto nazionale di ricerche turistiche. Per l’88% dei rispondenti, dunque, il patrimonio culturale va gestito come una risorsa in grado di generare risultati (anche) economici e solo l’1% non la pensa così. E’ un dato che mostra chiaramente come gli operatori della filiera del turismo, gli esperti, ma anche la gente comune si aspetti un radicale cambiamento del modo in cui il sistema pubblico ha finora amministrato i beni culturali. La motivazione più diffusa (circa il 50% delle risposte) di questo orientamento è la consapevolezza che il patrimonio culturale è uno dei maggiori punti di forza dei nostri territori. Ma molti (circa il 30%) evidenziano anche come si tratti semplicemente di allinearsi a quello che accade negli altri Paesi dove il patrimonio culturale è un potente volano di sviluppo anche economico; del resto, un altro 20% del campione ricorda che non possiamo più permetterci di tenere inutilizzati i nostri ‘tesori’. Per quasi il 40% dei rispondenti si tratta in primo luogo di migliorare la gestione pubblica dei beni culturali; notevole attenzione (26,2% delle indicazioni) riscuote anche la strada della collaborazione ‘pubblico – privato’ per la realizzazione di grandi progetti di valorizzazione del cultural heritage. Questo dato è interessante, evidenziando come l’esigenza di un allargamento della missione del bene culturale per comprendere anche obiettivi economici non si traduce in una richiesta di sua “privatizzazione”; piuttosto, nell’aspettativa di nuovi meccanismi che rendano la gestione pubblica più efficiente e di modalità adeguate per il coinvolgimento di risorse private. Il coinvolgimento delle imprese private è considerato in linea generale in modo favorevole, ma a delle condizioni. Per il 50% circa è essenziale che si tratti di imprese attentamente selezionate e comunque dotate di notevoli competenze specifiche. Per il 33% occorre che le aziende in questione siano al tempo stesso ben inserite nella filiera turistica e conoscano quindi le dinamiche del suo mercato. Una certa attenzione è data infine alle capacità finanziarie e tecnologiche che queste imprese possono mettere a disposizione per la realizzazione di grandi progetti inerenti il patrimonio culturale.