In Puglia sono stati 40.481 gli alloggi per l’affitto breve messi in vendita online su Airbnb da dicembre 2018 ad agosto 2019, distribuiti nelle Province di Lecce (21.592), Città Metropolitana di Bari (6.364), Brindisi (5.685), Taranto (3.302), Foggia (2.685), Bat (853). Guida la classifica dei Comuni Lecce con 2.192 alloggi, seguita da Ostuni (2.127), Gallipoli (2.099), Porto Cesareo (1.824), Nardò (1.626), Bari (1.534), Monopoli (1.333).
I dati emersi da una ricerca della Federalberghi, in collaborazione con Incipit Consulting, sono impietosi e fotografano – scrive l’Associazione degli albergatori in una nota – la Puglia turistica 2019 con una crescita esponenziale dell’abusivismo ricettivo che Airbnb ha contribuito a rendere un fenomeno fuori controllo. In soli due anni, da agosto 2017 ad agosto 2019, il numero degli alloggi offerti è aumentato dell’88,28%, da 21.500 a 40.481. Questo scandaloso sommerso turistico ha immesso nel mercato più di 160.000 camere producendo il fatturato maggioritario (50/60%) dell’intera economia turistica pugliese.
“Ci siamo entusiasmati per Bari tra le migliori destinazioni di Lonely Planet, per la Puglia glorificata dal New York Times – commenta Francesco Caizzi, presidente della Federalberghi Bari-Bat e Puglia – ma questi dati vergognosi ci riportano a un’amara realtà, quella di un segmento importante per la Puglia che subisce la piaga dell’abusivismo ricettivo. Ci sono stati negli ultimi anni importanti investimenti nella promozione turistica della Regione, ne abbiamo festeggiato gli effetti, che sono però sfuggiti a qualsiasi controllo, portando evidente squilibrio in termini di ricadute sul sistema economico derivante dalla situazione d’irregolarità legata al sommerso. Il caso Bari è emblematico. Airbnb ha immesso sul mercato oltre 6mila camere al di fuori di ogni regola che hanno prodotto nel solo mese di agosto 2019 oltre 11milioni di fatturato senza corresponsione di apporti equivalenti in termini di contributo all’erario e di sostegno all’occupazione e al reddito”.
La ricerca della Federalberghi fa emergere anche con dati reali le bugie della sharing economy. Non è vero che si tratta di alloggi condivisi, perché nell’agosto 2019 l’80,03% degli annunci è riferito ad appartamenti interi, dove non abita nessuno. Non si tratta di piccoli redditi integrativi, perché nello stesso periodo periodo il 65,29% degli annunci è pubblicato da host che gestiscono più di un alloggio. Non è vero che siamo di fronte ad attività occasionali, perché il 59,84% degli alloggi è in vendita per oltre sei mesi all’anno.
“Da questi numeri – continua Caizzi – deduciamo che oltre 1.350 host hanno esercitando la propria attività in nero nella città di Bari. Questi signori si sono arricchiti indebitamente alle spalle degli operatori onesti (concorrenza sleale), dei lavoratori (lavoro nero), dello Stato (evasione fiscale), della comunità locale (pressione sul mercato dell’edilizia abitativa, spopolamento dei centri storici, evasione dell’imposta di soggiorno e degli altri tributi locali) e, spesso, hanno messo a rischio la sicurezza dei turisti (mancato rispetto delle norme di igiene e sicurezza). Nel contempo sono stati chiusi due alberghi i cui proprietari hanno ritenuto più redditizia la speculazione edilizia rispetto all’impresa ricettiva”.
“È urgente – conclude il leader degli albergatori baresi e pugliesi – arginare questo dannoso fenomeno e fermare coloro che danneggiano tanto le imprese turistiche tradizionali quanto coloro che gestiscono in modo corretto le nuove forme di accoglienza. Ricordo che i danni si riversano anche sui nostri ragazzi che scelgono gli istituti alberghieri, perché costretti a emigrare al nord o all’estero per poter lavorare. L’assessorato regionale al Turismo deve attivarsi subito per rendere operativo il Codice identificativo per gli affitti brevi introdotto da una legge regionale. Non possiamo perdere un altro anno aggredito dall’abusivismo. La Federalberghi si attivò per tempo con il Governo centrale per far ritirare l’impugnazione del provvedimento alla Consulta, ma da allora alla Regione sono fermi. Si tratta di una delle buone regole per proteggere il consumatore, la collettività, i lavoratori e il mercato. Naturalmente le buone regole servono a poco se non ci sono buoni controlli”.