Gli operatori turistici sono sempre più consapevoli dei rischi, anche economici, del cambiamento climatico. Pertanto, chiedono ai governi e alle amministrazioni locali di prendere provvedimenti per adattarsi ai nuovi scenari, coinvolgendoli nelle decisioni. A sancirlo è l’indagine di campo di Enit “Adattamento climatico: nuove scelte di turisti e operatori del turismo”, condotta da Fondazione Santagata per l’Economia e la Cultura in collaborazione con Studio Giaccardi & Associati – Consulenti di Direzione e Data Analyst. La ricerca è stata effettuata su una popolazione statistica di oltre 9mila operatori tra italiani e internazionali che lavorano per la destinazione Italia, tra pubblico e privato.
«Il cambiamento climatico è un dato di fatto, che sta avendo delle conseguenze anche sul turismo, come su tutti i campi delle nostre vite. Allunga o accorcia le stagioni e crea effetti disruptive molto forti. A fronte di tutto ciò, servono buoni dati per prendere buone decisioni. I dati sono fondamentali per capire dove stiamo andando e per fissare obiettivi quantitativi e qualitativi di sostenibilità, e per monitorare di volta in volta a che punto siamo», ricorda Alessandra Priante, Presidente di ENIT Spa.
«Gli operatori turistici – sottolinea Pier Ezhaya, Presidente ASTOI Confindustria Viaggi – oggi sono consapevoli cambiamento climatico e dell’impatto del turismo su di esso. Tuttavia, non possiamo immaginare in un mondo moderno di ridurre o sospendere la mobilità delle persone. Dobbiamo piuttosto porci il tema di come favorire la mobilità cercando di avere minori impatti. Come tutti i grandi processi, quello del cambiamento climatico richiede una risposta corale e non una fuga virtuosa in avanti di qualche singolo. In questo senso, i governi non devono farsi controllori e sanzionatori, ma guide e leader di questo cambiamento, anche fornendo formazione su un tema su cui c’è ancora molta ignoranza».
L’indagine di campo su oltre 9mila operatori turistici
A preoccupare maggiormente gli operatori sono i nubifragi e le inondazioni (67% degli intervistati), ma anche la siccità (64%). Mentre, a impattare sulle scelte delle destinazioni dei turisti sono la condizione-limite della temperatura superiore a 40°C (83%, che sale a 95% guardando ai soli TO internazionali), seguita dalla prospettiva di una piovosità eccessiva, e, infine, dalla scarsità di neve durante la stagione invernale.
Proprio per questo, secondo gli operatori del settore, il cambiamento climatico deve essere messo al centro delle agende dei territori (64% degli intervistati), promuovendo soluzioni di accoglienza climatica (52%, che sale a 60% per i soli TO internazionali), senza dimenticare di coinvolgere gli operatori turistici nei provvedimenti di adattamento climatico (42%). Infatti, per tutti gli intervistati il valore del partecipare alle decisioni è di ben 4 punti su 5: anche nell’emergenza climatica, l’economia del turismo si conferma a forte vocazione partecipativa. Non da ultimo, anche il valore dell’impatto del cambiamento climatico sul turista e sulla propria attività, si attesta in media oltre ai 4 punti su 5.
«Per i TO internazionali che promuovono l’Italia –spiega Marco Antonioli del Comitato Scientifico del progetto ENIT, sociologo e capo analista dello Studio Giaccardi & Associati – il provvedimento “Promuovere soluzioni di accoglienza climatica” è una priorità, senz’altro per la stretta relazione con i clienti stranieri che, è bene ricordare, fruttano ai territori italiani oltre 51,7 miliardi di spesa internazionale (fonte Banca d’Italia, 2024). Viceversa, a tutti gli operatori italiani, pubblici e privati, sta a cuore “Mettere il cambiamento climatico al centro dell’agenda dei territori” rivelando così un interesse urgente con forte attaccamento alla sostenibilità dei luoghi».
Tra le tipologie di vacanze più penalizzate dal cambiamento climatico ci sono quelle nautiche e sportive, un dato che viene confermato anche dal Tourism Climatic Index, che, applicato alle Dolomiti Bellunesi, mette in evidenza come gli sport invernali sono a rischio per la scarsa neve, già in un prossimo futuro.
«L’importanza di utilizzare i dati è primaria – sottolinea Valentina Collesselli, General manager Fondazione DMO Dolomiti Bellunesi – per impostare delle strategie turistiche predittive. Noi siamo in un ecosistema molto fragile, quello della montagna, che ha un problema di spopolamento. Abbiamo una grossa economia, lo scii invernale e la neve, che avrà necessariamente bisogno di un ripensamento a fronte del cambiamento climatico. Ci tengo a dire, però, che gli abitanti della montagna sono da sempre abituati all’adattamento e sono precursori delle strategie di adattamento climatico. Stiamo già intraprendendo dei percorsi molto importanti in questo senso, come un ripensamento del sistema di approvvigionamento idrico per l’innevamento artificiale attraverso bacini e riutilizzo di acque».
Il Tourism Climatic Index per 4 destinazioni-simbolo italiane
Il clima sta cambiando rapidamente e, di conseguenza, anche i periodi ideali per una vacanza. Se agosto è stato per oltre 60 anni il mese simbolo delle ‘vacanze italiane’, oggi non è più così. Allo stesso modo, il cambiamento climatico potrebbe rendere molto più complicata una ‘settimana bianca’ sulle Dolomiti a causa della scarsità di neve. A prevedere questi cambiamenti – con l’obiettivo di guidare i provvedimenti di adattamento climatico – è il Tourism Climatic Index (TCI), un modello previsionale che misura l’impatto del cambiamento climatico sulla scelta della destinazione del turista in relazione all’attività che intende praticare nella destinazione.
«L’idea di fondo del TCI – spiega il professor Rodolfo Baggio del Comitato Scientifico del progetto ENIT, ricercatore docente all’Università Bocconi di Milano – è la percezione delle condizioni climatiche da parte del turista, cioè quanto certe condizioni sono considerate favorevoli o meno per un visitatore in una certa area. Infatti, la scelta della destinazione da parte di un turista si baserà sempre di più su ciò che ci si aspetta dalla destinazione e il cambiamento climatico sta diventando un fattore cruciale».
Le 4 destinazioni su cui è stato calcolato – Bari Area Metropolitana, Dolomiti Bellunesi-Cortina, Firenze Area Metropolitana e Rimini – essendo mete turistiche diverse per posizione e attrazioni, possono rappresentare le diverse declinazioni del turismo nel nostro Paese. Dalla città d’arte, al turismo balneare al turismo sportivo, insieme le 4 destinazioni-simbolo mobilitano quasi 4 miliardi di euro di spesa internazionale, che potrebbero variare in relazione al cambiamento climatico.
«I risultati – sottolinea il prof. Baggio – indicano chiaramente una tendenza generale verso un cambiamento nella distribuzione dei periodi più favorevoli per il turismo estivo con uno spostamento verso i cosiddetti mesi “di spalla” (maggio, giugno, settembre e ottobre). Questo cambiamento è particolarmente evidente a causa del surriscaldamento nei mesi di luglio e agosto, sempre meno attraenti per i turisti. Le temperature in questi mesi spesso superano i livelli di comfort, rendendo l’esperienza turistica meno piacevole, specialmente nelle destinazioni mediterranee e in altre regioni a clima temperato».
«Mentre, per quanto riguarda le condizioni climatiche invernali in zone di montagna bisogna considerare la rilevanza delle attività legate agli sport invernali. Per questi il fattore principale è la copertura nevosa che va rapidamente diminuendo fino a livelli assolutamente insoddisfacenti. A questo bisogna anche aggiungere la possibile diminuzione (non esaminata direttamente qui) delle risorse idriche che pone seri limiti alle possibilità di innevamenti artificiali», conclude Baggio.