In Thailandia non ci si da la mano in segno di saluto. Gli abbracci non rientrano nella tradizione. Ogni volta che ci si incontra, si entra in un negozio o in qualsiasi altro locale, oppure si partecipa a un incontro sociale, le mani giunte in preghiera (wài, appunto) davanti al viso, un leggero inchino e un sorriso sintetizzano la gioia per l’incontro e potrebbero diventare un nuovo codice di relazione in tutto il mondo, specialmente ora che in Italia si inizia a pensare a un nuovo inizio tra aprile e maggio in cui il distanziamento sociale rimarrà una delle regole del nostro quotidiano.
Il wài è osservato quando si entra in una casa e dopo che la visita è finita, ed è anche un modo comune per esprimere gratitudine o per scusarsi. Dagli anni ’30, epoca in cui fu coniato, rimane a tutt’oggi una parte estremamente importante del comportamento sociale tra i thailandesi.
Il wài, come il namaste indiano, appartiene alla famiglia dei saluti pranamasana o dei mudra anjali. Un mudra è un gesto simbolico o rituale tipico dell’induismo e del buddhismo. Mentre alcuni mudra coinvolgono l’intero corpo, la maggior parte vengono eseguiti con le mani e le dita. Un mudra è un gesto spirituale, un sigillo di energia impiegato nell’iconografia e nella pratica spirituale delle religioni lontane. Mudra significa “sigillo” o “segno”. Anjali è il sanscrito traducibile con “offerta divina”, “gesto di rispetto”, “benedizione”, “saluto”.
Il gesto viene utilizzato sia per saluti che per addii, ma porta un significato più profondo di un semplice ciao o di un arrivederci. L’unione delle palme connette gli emisferi sinistro e destro del cervello e unifica collegando il praticante con il divino in tutte le cose. Quindi, eseguire il wài vuol dire onorare sia il sé che l’altro e il gesto riconosce la divinità sia del praticante che del ricevente.