Le considerazioni che guardano il futuro più prossimo, si svolgono in un clima molto meno fiducioso. Una ricerca condotta da Isnart Unioncamere rivela infatti che quasi il 64% delle imprese turistiche italiane esclude che nel 2013 effettuerà degli investimenti e il 27,3% sta ancora valutandone l’effettiva possibilità. Appena l’8,9%, dunque, si è dichiarata certa di poterne realizzare, facendo scendere l’importo complessivo stimato a meno di 1,4 miliardi di euro.
In particolare, il 36% prevede di poter aumentare significativamente il volume delle somme investite (in media di quasi il +84%), mentre il 33,5% le manterrà stabili, e il 9,8% le ridurrà. Anche in questo caso, il Nord Est si dimostra l’area geografica più solida: le imprese che prevedono di investire nel 2013 sono il 12,7%, e, tra queste, il 41% non si farà spaventare dalla crisi e aumenterà le risorse impiegate, che sono stimate in oltre 629,8 milioni di euro.
“Le previsioni sugli investimenti delle imprese turistiche effettuato dall’Isnart – osserva il presidente dell’istituto, Maurizio Maddaloni – sono una cartina di tornasole infallibile dello stato di crisi dell’intero settore e dell’onda lunga della contrazione dei fatturati e delle aspettative di tutti gli imprenditori della filiera. L’accesso al credito si conferma tra le priorità anche nel settore turistico. Il finanziamento bancario risulta sempre più in salita per le piccole imprese a carattere familiare, mentre aumenta la quota di imprenditori che rinuncia ad effettuare investimenti per l’incertezza del mercato nazionale ed internazionale. Serve un passo in più da parte di tutti gli attori istituzionali – suggerisce il numero uno dell’Isnart – per coordinare politiche di promozione dell’offerta e per allentare la morsa del fisco e il peso eccessivo della burocrazia”.Tra le diverse tipologie di imprese, le differenze sono meno evidenti. Da un lato, il settore alberghiero investe leggermente più dell’extra – alberghiero (13% rispetto all’11,5%), dall’altro, è proprio quest’ultimo, il più disposto a rilanciare (per il 49% degli imprenditori del comparto complementare, le risorse impiegate nel 2013 saranno maggiori).Tra i ristoranti, la quota di chi non effettuerà gli investimenti è particolarmente elevata (circa il 66%), anche considerando che nel 2012, era già rimasto fermo l’11% dei ristoratori. Come avvenuto per l’anno precedente, quasi l’84% degli interventi saranno migliorie strutturali (in aumento rispetto al 2012), il 10,4% spese di promozione e comunicazione (in calo), il 2,8% nel miglioramento dei servizi. Tra le fonti di finanziamento nel 53,5% dei casi, le imprese turistiche reperiscono i fondi necessari attraverso l’autofinanziamento, il 41,6% si rivolge al credito bancario e una minoranza fa ricorso ai canali del finanziamento pubblico o del credito agevolato (il 6,2%). L’utilizzo di risorse provenienti dall’autofinanziamento è più diffuso nel Sud e nelle Isole, dove supera il 60%, e raggiunge il minimo nel Nord Est (41,7%), a favore di un maggiore ricorso al credito bancario (49,4% rispetto al 41% della media italiana) o, in alternativa, ai finanziamenti pubblici e al credito agevolato (8,4% rispetto al 6,2%). Quest’ultimo canale è utilizzato, in particolare, dagli agriturismi e dai campeggi (18,1%), che grazie ad esso, riescono a sostituire in gran parte il credito bancario (utilizzato soltanto nel 28,7% dei casi) e ad integrare le fonti interne all’azienda (54,4%). In oltre il 36% dei casi la prima preoccupazione degli imprenditori è l’andamento del mercato: prevedendo una domanda in calo o in stallo, infatti, essi decidono di non affrontare altre spese per il futuro. Per il 30% delle imprese un ulteriore freno è costituito dalla mancanza di risorse interne all’impresa. Questo avviene anche a causa delle condizioni imposte dalle banche, che rendono difficile l’accesso al credito, scoraggiando ben il 16,2% degli imprenditori turistici, cui si aggiunge il 5% che dichiara la difficoltà di accedere agli incentivi pubblici. L’assenza o l’insufficienza degli incentivi pubblici viene indicata come fattore ostativo dal 7,5% delle imprese, la pressione fiscale eccessiva dal 3,4% e i cavilli burocratici dal 3,1%.
Articolo Precedente
Articolo Successivo
AdR aggiorna il piano industriale, nuove tariffe dal 9 marzo